Itinerario Fondazione Lucifero

 Prologo

Il visitatore che, trovandosi al centro di Milazzo, voglia continuare a salire per raggiungere il Promontorio ed ammirarne le bellezze, potrà seguire due vie, entrambe ricche di storia e di grande valenza sul piano naturalistico, l'una interna e l'altra esterna al perimetro cittadino.

La prima, interna, oltrepassando la parte alta della città, il cosiddetto “Borgo Antico” ed il sovrastante Castello arabo-normanno-svevo; la seconda, esterna, percorrendo il lungomare Garibaldi e attraversando il borgo marinaro di "Vaccarella" fino ad immettersi nella strada Panoramica, che si affaccia sul mare di levante e che rappresenta la continuazione del lungomare stesso. 

La parte finale del promontorio di Capo Milazzo ricade all’interno dell'esteso complesso architettonico e naturalistico, denominato “Fondazione Barone Giuseppe Lucifero di S. Nicolò”.

L'itinerario turistico proposto inizia dalla visita dell’edificio sede dell’Ente e dell’annessa Cappella, per poi attraversare l’intero fondo di C.da Baronia, raggiungendo "Punta Mazza", fino ad arrivare alla parte finale del promontorio di Capo Milazzo, denominata “Paradiso”, un sito di sconvolgente e rara bellezza, e concludersi con la visita ad un luogo impregnato di autentico misticismo, quale il Santuario di Sant’Antonio di Paola.

Ettari di uliveto, vigneto e di "macchia mediterranea" saranno a disposizione di chiunque voglia trascorrere una giornata lontana dai frastuoni, dai ritmi frenetici della vita cittadina, per respirare area pulita ed immergersi nel mondo rurale, dove provare sensazioni ormai dimenticate e potenziare la propria cultura ambientale.

La presenza di flora e fauna protette permetteranno di vivere un’esperienza indimenticabile e di attraversare luoghi che si affacciano su un mare ricco di colori, in un’atmosfera piena di profumi e suoni del mediterraneo, in un ambiente ricco di spiagge e calette coniugato con un panorama che spazia dalle isole Eolie all’Etna.

  

Dentro la tappa

Villa Lucifero

Sia gli immobili della Villa che i terreni della tenuta, coltivati ad uliveto e vigneto, sono stati riconosciuti di "particolare e rilevante interesse" e sottoposti a vincolo storico-paesaggistico ai sensi degli artt. 1 e 4 della Legge n° 1089 dell’1-6-1939 e dell’art.2 della Legge Regionale 1-8-1977 n° 80.

La villa padronale risalirebbe alla prima metà del Seicento e venne costruita ad opera del Barone Onofrio Baele, anche se, in seguito, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, ha subito restauri in stile neorinascimentale, e, negli ultimi decenni, sono stati eseguiti lavori di manutenzione.

L’edificio dei Lucifero - che ci perviene, oggi, con un’impronta ottocentesca - risulta costituito da una casa padronale propriamente detta, dalla cappella di S. Nicolò, cui si accede anche dalle stanze interne, e da un edificio annesso di servizio, con funzioni, un tempo, di palmento, frantoio, rimessa per le carrozze, magazzini. La cappella fu costruita insieme alla villa e fu voluta sempre da Onofrio Baele per sostituire l’omonima chiesetta, che si trovava nei pressi dell’attuale Faro di Capo Milazzo.

Feudo dei Baeli dal Seicento, la vasta “Baronia” feudale, denominata di S. Nicolò, ricopriva una estesa proprietà terriera di uliveti e vigneti di Capo Milazzo e diede il nome all’intera contrada dell’estremo del promontorio. Nel 1751, fu trasmessa per successione, insieme al titolo, al nobile Paolo Lucifero, antenato del Barone Giuseppe Lucifero.

La famiglia Lucifero, seppur originaria di Crotone, è stata una delle più antiche e prestigiose famiglie di Milazzo, oltre che Baroni di San Nicolò, i suoi membri sono stati signori di Armero, Malapezza e Zinga nonchè marchesi di Apriglianello. Hanno ricoperto per secoli, specie sotto i Borboni, cariche di primissimo piano nell’amministrazione civile e giudiziaria della città (Regi Secreti, Presidenti della Corte Suprema).

Nell’ultimo dopoguerra, le sorti della famiglia (e del suo ingente patrimonio) vennero rette dalla Baronessa Maria Lucifero, figlia del Barone Giuseppe e ultima erede diretta, nubile, deceduta il 19/12/1956, per volontà testamentaria della quale, parte rilevante dei possedimenti dei Lucifero venne legata al Sovrano Ordine Militare dei Cavalieri di Malta, con l’onere di destinare il ricavato delle rendite ad una costituenda fondazione, le cui finalità avrebbero dovuto essere quelle della “istituzione di una colonia permanente per bambini e gracili, con particolare preferenza per i nati a Milazzo e Capo Milazzo”.

Nelll’ipotesi di rinuncia al legato, i beni avrebbero dovuti essere destinati, comunque, all’istituzione di una fondazione, avente gli stessi scopi e finalità. A seguito di rinunzia da parte del Sovrano Ordine, avvenuta in data 27/4/1957, alla costituzione della Fondazione attese, in esecuzione alla volontà della Baronessa, l’esecutore testamentario.

Eretta in Ente Morale con D.P.R. 4/7/1963 n. 1167,  successivamente, con decreto del 12/11/1987 n. 673 dell’Assessore Regionale Enti Locali, la Fondazione è stata riconosciuta Istituzione Pubblica di Assistenza e Beneficenza (I.P.A.B.).

Al complesso architettonico si accede attraverso un imponente cancello neoclassico adiacente alla facciata, la cui severa monumentalità è accentuata dall’uso del bugnato che riveste per intero il pianterreno provvisto solo di finestre; al piano nobile tre grandi balconi con qualche decorazione di gusto rococò si alternano a finestre. La facciata verso il giardino è più accentuatamente decorata in stile neorinascimentale.

All’interno i locali sono distribuiti intorno ad un ampio salone sistemato come giardino d’inverno. Stucchi e pavimento sono ispirati a canoni neorinascimentali desunti dalla cultura toscana: l’ispirazione è evidente nei pavimenti con l’inusuale motivo del fiorini di Firenze, mentre gli stucchi riprendono motivi a grottesca tipici della ceramica di Deruta.      

Collegata all’abitazione signorile, troviamo la Cappella di S. Nicolò, la cui navata, a semplice pianta rettangolare, è provvista di un altare degli inizi del Novecento con stemma dei Lucifero, affiancato da una coppia di mensole con statue della Madonna di Trapani (in alabastro) e del Cuore di Gesù. All’altare è posta una tela raffigurante San Nicola, datata 1808, ma dai caratteri ancora settecenteschi, affiancata da ovali raffiguranti S. Stefano e la Crocifissione, dagli analoghi caratteri stilistici.

Accanto alla porta principale una nicchia contiene il gruppo della Flagellazione mentre una Pietà policroma è posta in una elaborata teca settecentesca su una consolle.

Numerosi dipinti sono sistemati alle pareti laterali: il “Crocifisso” e la “Madonna con S. Domenico” risalenti ad epoca barocca, la “Flagellazione” e “Andata al Calvario”,  attribuiti al caravaggesco siracusano Mario Minniti (1557-1640) ed attualmente custoditi al Museo Regionale di Messina, in attesa di effettuare interventi di risanamento conservativo della chiesetta.

Nella sacrestia sono conservati due quadretti settecenteschi raffiguranti S. Nicola e San Francesco di Paola.

Qualche quadro interessante si conservava, prima del loro trasferimento al Museo Regionale - per motivi di sicurezza ed a seguito di lavori - all’interno della Villa, oggetto nel corso degli anni di ripetute razzie che ne hanno impoverito il patrimonio, tra i quali un dipinto raffigurante l’albero genealogico dei Lucifero, retto da un guerriero e un ritratto settecentesco di bambino.

 

Il Promontorio: fra natura e leggende 

Una volta usciti nel giardino retrostante l’edificio, si prosegue - immettendosi nel percorso c.d. di levante - lungo il Viale delle Palme, e, costeggiando l’intero fondo denominato “La Baronia”, tra vigneti ed antichi uliveti, si arriva a “Punta Mazza” .    

Punta Mazza” è una specie di piccolo capo listato di strati d’argilla, che si erge ripido e scosceso su una spiaggia bianca, detta “della Renella”, la cui selvaggia bellezza si impone all’interno di un sito dalle spettacolari caratteristiche naturali.

Da questo sito è possibile ammirare: lo scoglio, detto “Tavola di Baeli”; le “Grottazze”; lo “Scoglio della Bruca”; lo “Scoglio della Bambina; il “Puntuneddu”; la “Grotta di Gamba di Donna”, il “Salto del Cavallo”, tutte forme scolpite dalla natura.

Invece, nel tratto iniziale della costa orientale della Baronia, ad una certa distanza dalla terra, si possono scorgere: il “Ponte delle scale”, un lungo scoglio per metà a secco e per metà immerso tra le onde; la “Grotta del Milordo”; la “Spiaggia de’ Brignalori”; lo “Scoglio della Padella”, cosiddetto perché, durante le mareggiate, l’acqua intorno allo scoglio sembra friggere; lo sporgente “Ponte Cirucco”, da cui si apre un’insenatura non molto profonda che culmina appunto con “Punta Mazza”.

I fondali marini sono ricchi di prateria di Poseidonia; nelle grotte e negli anfratti si concentrano varie specie vegetali ed animali, quali per esempio: cernie, polpi, murene, scorfani. Altra parte importante di questo ecosistema è rivestita, inoltre, dai molluschi, di cui si cita la “Bursa scrobilator”.

Leggende

Due le leggende legate alla “Tavola dei Baeli” ed al “Salto del Cavallo”.

Intorno alla metà del ‘600, la Baronia era di proprietà dei Baroni Baele, che godevano di grande prestigio tra la nobiltà locale e avevano fama di essere  persone assai colte, pur se alquanto bizzarre.

Una delle loro più chiacchierate estrosità era la singolare abitudine, da quando avevano comprato la Tenuta di San Nicolò, di far cena, a volte, nelle sere d’estate, verso il tramonto, su un largo e piatto scoglio che emergeva durante le ore di bassa marea e che venne, poi, denominato la “Tavola dei Baeli”.

La Tavola, contornata di comodi cuscini, veniva apparecchiata con finissime tovaglie di Fiandra e preziosa argenteria. Pescati sul posto poco prima, venivano offerti ai commensali ricci di mare e ostriche, gamberetti crudi annegati in succo d’arancia con sale  e pepe, aragoste e cicale lessate al momento in acqua di mare, rosee bottarghe della tonnara di Malpetito; il tutto accompagnato dal magnifico vino del Cirucco. In chiusura grossi semi di finocchio selvatici, lentamente masticati, favorivano la digestione e profumavano l’alito. Dopo la cena una grande lume acceso veniva lasciato sulla tavola insieme alle tovaglie e all’argenteria.

I partecipanti al banchetto, accompagnati dalla servitù, risalivano la costa verso più comode posizioni e da lì, compiaciuti, assistevano all’arrivo dell’alta marea che disperdeva nei fondali ogni ricchezza lasciata sul grande scoglio. Alla servitù e ai contadini della nobile famiglia era severamente proibito di avvicinarsi alla tavola: solo i marinai della zona, per esclusivo privilegio, potevano ripescare nella notte con le loro lampare la splendida argenteria, le preziose tovaglie e i morbidi cuscini.

Una leggenda molto triste è, invece, legata al “Salto del Cavallo”. Si narra, infatti, che Eleonora Baele, nipote di Don Onofrio, avesse un amore segreto per Giacomo Foti, figlio ventenne del campiere della Baronia di S. Nicolò e suo assiduo istruttore equestre. I due giovani erano sempre in giro per la tenuta ed avevano acquisito una tale abilità che riuscivano a condurre con destrezza i loro cavalli persino sull’impervia scogliera o negli anfratti più reconditi, così da salire e scendere dall’alta costa dell’Arenella o a raggiungere, per stretti e pietrosi sentieri, l’estremo scoglio del Messinese, ultima propaggine del Promontorio verso l’arcipelogo delle Eolie.

I Baroni di San Nicolò, seppur considerati piuttosto strani, non potevano ignorare questa tresca amorosa e, con grande compostezza, decisero, verso la fine di agosto, di liquidare con un generico pretesto e una generosa buonuscita la Famiglia Foti.

La giovane Eleonora, appresa la notizia del licenziamento dei Foti, per tutto il giorno non uscì dalla casa di villeggiatura al Capo di Milazzo. Verso sera la ragazza chiese il permesso di fare una passeggiata a cavallo. Si spinse fino al faro – che a quell’ora veniva acceso con un grande lume a petrolio – e poi andò oltre, verso l’estremità del promontorio.

Sulla strapiombante scogliera la giovane spronò per l’ultima volta il suo cavallo al galoppo e da lì sparì in mare per sempre. Quel luogo porta ancora il nome di “Salto del Cavallo”.

La leggenda vuole che, nel giorno in cui avvenne quel salto, gli abitanti della non lontana isola di Lipari accendano fuochi e luci per dare alla sfortuna ragazza un punto di riferimento per l’approdo e preparino grandi festeggiamenti per accogliere la bella innamorata. In realtà il giorno in cui il fatto è avvenuto coincide con la festa liparitana di San Bartolo, ma è altrettanto vero che, sconfortato dalla vana attesa, spesso il cielo d’agosto piange proprio in quel giorno con una improvvisa pioggia la tragica fine della bella Eleonora.

Valore floro-faunistico, geologicho ed archeologico

Il complesso paesaggistico descritto riveste un notevole interesse non solo da punto di vista naturalistico ma anche geologico ed archeologico.

Soprattutto nella parte estrema, che va da Punta Mazza a Punta del Tono, in cui è compresa l'area della Baronia, esistono delle significative variazioni della morfologia del suolo e dei fondali. Ciò consente una tale differenziazione delle specie animali e vegetali, difficilmente rintracciabile in un'area così concentrata. Sotto tutela sono, infatti, alcune specie indicate dalla Soprintendenza di Messina, che le ha elencate nella Declaratoria n°4906 del 31-12-92.

Quanto alla flora, sul Promontorio del Capo, si trova in forma discontinua una grande varietà di cespugli che cresce in forma spontanea, quali, a titolo esemplificativo: la ginestra spinosa (Calicotome villosa), l'euforbia arborescente (Euphorbia dendroides), l'artemisia arbustiva (Artemisia arborescens), il cappero (Capparis spinosa), il garofano (Dianthus rupicola), la vedovina delle scogliere (Scabiosa cretica), la finocchiella di boccone (Seseli bocconi), il radicchio di scogliera (Hyoseris taurina).

Quanto, invece, alla fauna, è importante ricordare che, nelle grotte e nelle calette del Promontorio, viveva in passato, ed era comune fino all'Ottocento, la foca monaca (Monacus monachus).

Tra i mammiferi terrestri presenti nel territorio si segnalano la donnola (Mustela nivalis) e il riccio (Erinaceus europaeus).

Tra gli uccelli, invece, che nidificano sulle scogliere di Milazzo, si citano il falco pellegrino (Falco peregrinus), il cormorano (Phalacrocorax carbo), il corvo imperiale (Corvus corax), la taccola (Corvus monedula), l'airone cenerino (Ardea cinerea), oltre a varie specie di gabbiano.

Il falco pellegrino riveste anche un'importanza storica, in quanto era un animale che re Federico II° di Svevia amava addestrare per la cosiddetta caccia col falcone.

Sotto l’aspetto prettamente geologico, il  terreno “primitivo” del promontorio è costituito da roccia di granito, sienite e schisto micaceosu cui si è sovrapposto lo strato del terreno, per così dire “moderno”, formato da sabbione, tufo, conglomerato.

Già nella prima metà dell’Ottocento, il Promontorio di Capo Milazzo, compresa l’area della Baronia, è stato oggetto di studi da parte di geologi e naturalisti, italiani e stranieri.

Notevole importanza riveste il ritrovamento di fossili di “testacei” del Terziario e del Quaternario.

Sotto l’aspetto archeologico è importante ricordare che, nel 1993, a seguito di una serie di interventi di scavi archeologici subacquei, ad opera della Soprintendenza di Messina, sono stati effettuati dei ritrovamenti, in particolare nella Cala dei Liparoti, tra Punta Rotolo e Punta Cirucco e al largo di Punta Mazza, dove sono stati rinvenuti preziosi giacimenti fossili e reperti archeologici.

La Cala dei Liparoti, in quanto protetta dai venti, costituì, nei vari secoli, un punto di attracco sicuro per le navi. Ciò è comprovato dalla cospicua presenza di materiali ritrovati sui fondali, relativi ai vari carichi delle navi: perlopiù frammenti di anfore romane databili tra il I° sec. a.C. e l'età imperiale. I ritrovamenti si estendono però a reperti anche dell'Ottocento.

Questo punto della costa risultò, da sempre, un luogo favorevole ai naviganti anche per la presenza di una fonte d'acqua dolce e per l'esistenza di una scala scavata nella roccia, che permetteva di risalire dalla spiaggia al Capo. La collocazione di questa scala era già riportata in una carta seicentesca di Francesco Negro.

Il ritrovamento, forse più importante degli ultimi anni, è il relitto di una nave romana di età imperiale, proveniente dall'Egeo, rinvenuta nel 1993 al largo di Punta Mazza, un punto insidioso per le imbarcazioni. Negli anni successivi al '93, è stata recuperata parte del carico, consistente in diverse serie di anfore vinarie del tipo in uso nella prima metà del III° sec. d.C.

 

 

 

Le tradizioni: il Santuario di Sant’Antonio di Padova

Ritornando dal “Paradiso“, si giunge a Piazza Sant’Antonio, un belvedere dal quale l’occhio torna a spaziare sul mare che si stende tra l’ampia insenatura della costa siciliana, gli scoscendimenti dell’estrema propagine del promontorio e le isole del mitico regno di Eolo.

Sulla gradinata che scende lungo il fianco del promontorio prospetta il piccolo santuario rupestre di Sant’Antonio da Padova, scavato in una grotta che veniva utilizzata anticamente come ricovero per i pescatori durante le intemperie o, come dimora, da eremiti.
La tradizione vuole che proprio un eremita soccorse ed ospitò il Santo nel 1221, quando navigando dal Marocco verso la natìa Lisbona, venne qui dirottato da una tempesta.
Dopo che Antonio venne santificato, la sua immagine fu posta in questa grotta, che divenne una sorta di piccola chiesa. Nel 1534 la grotta venne depredata dai corsari che portarono via anche il quadro ma non riuscirono, nonostante il vento favorevole, a riprendere il largo. Buttarono, quindi, il quadro in mare e così poterono allontanarsi. Il quadro giunse sulla spiaggia intatto e venne raccolto dai pescatori che lo riposero nella grotta. Da allora crebbe la devozione verso il santo, tanto che i fedeli si portarono via a pezzetti il quadro.
La chiesetta venne successivamente ingrandita a colpi di scalpello ed arricchita.
L’interno rivestito di marmi intarsiati custodisce un pregevole altare maggiore in marmi policromi eretto tra il 1699 e il 1701, nove medaglioni a bassorilievo raffiguranti Storie di Sant’Antonio eseguiti dal trapanese Federico Siragusa (1759-1837), allievo di Ignazio Marabutti, una statua lignea del Santo dello scultore mistrettese Noè Marullo (1857-1925) e una tela con la Madonna della Provvidenza dipinta da anonimo nel 1697.
Ancora oggi, ogni 13 giugno, in occasione dei festeggiamenti in onore di Sant’Antonio, centinaia di pellegrini, non solo milazzesi, si recano a piedi presso la piccola chiesetta per  la venerazione  e  per chiedere la sua intercessione per l’ottenimento delle grazie.